domenica 30 gennaio 2011

Perchè smettiamo di desiderare?

Il rapporto di quest’anno del CENSIS (l'italiano Centro Studi Investimenti Sociali) individua la natura della crisi in un “calo del desiderio” che si manifesta in ogni aspetto della vita, portando a “evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa, comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro”
È evidente come queste considerazioni valgono anche per noi soprattutto in questo esordio di campagna elettorale. Nessuno più bada a chi lavora seriamente, a chi vuole realmente il bene del paese.
<<Nell’appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti; e nella astenia generale l’alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano>>, come disse don Giussani ad Assago nel 1987.
E allora c'è una speranza? «Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita»
Possiamo sperare di uscire dalla drammatica situazione attuale se tutti − compresi i governanti che oggi hanno la difficile responsabilità di guidare il Paese attraverso questa profonda crisi − decidiamo di essere veramente ragionevoli sottomettendo la ragione all’esperienza, se
cioè, liberandoci da ogni presunzione ideologica, siamo disponibili a riconoscere qualcosa che nella realtà già funziona. Sostenere chi, nella vita sociale e politica, non si è rassegnato a una misura ridotta del proprio desiderio e per questo lavora e costruisce mosso da una passione per l’uomo, è il primo contributo che possiamo dare al bene di tutti.

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